L’analisi della letteratura internazionale psichiatrica e psicoanalitica sul suicidio fornisce elementi nuovi di conoscenza su come l’applicazione, troppo rapida e quindi non intrapsichicamente meditata dei nuovi diritti nei paesi a più alto sviluppo economico abbia influito sulla strutturazione psichica, sull’“autonomia”, e quindi anche sulla problematica suicidale degli individui. Il diritto acquisito dalle donne allo studio e al lavoro professionale, il diritto all’aborto, al divorzio, gli interventi sui fondamenti genetici della vita, il prolungarsi della vita media dovuti ai rapidi successi della medicina facilitando il risvegliarsi di fantasie di impotenza-onnipotenza, hanno rapidamente modificato abitudini, stili di vita e moralità. Ritengo che attualmente la possibilità di variare i ruoli sociali con una accettazione di normalità troppo rapida e superficiale da parte del mondo esterno possa mascherare, tramite una impulsiva attività, uno stato di passività dell’Io, una fragilità che neppure gli operatori della salute mentale spesso sono in grado di cogliere. Una difficoltà che spesso si mostra nel controllo della personale aggressività, è evidenziata dalla frequenza con cui si ricorre all’aborto che, seppur depenalizzato, resta comunque una pratica omicida e per di più, in era di anticoncezionali. Così come l’aumento di comportamenti delinquenziali nei giovani, le autoeteromutilazioni, l’abuso di droghe e i tentativi di suicidio.
Ritengo che un più accurato, prolungato processo di integrazione dei nuovi diritti, con i nuovi connessi e corrispondenti diritti e doveri nei confronti degli altri, svolto con l’aiuto di persone esperte (insegnanti, medici, psichiatri, operatori del clero, operatori sociali, intellettuali) possa facilitare una miglior integrazione del Sé. Lo sviluppo del processo di pensiero e della capacità di modulare gli affetti, non più massivi possono permettere una maggior attività dell’Io sia nei confronti della pulsionalità che dell’immediata realtà sociale. Adolf Portman (1897-1982) professore di zoologia all’Università di Basilea, una delle figure più significative del dibattito tuttora in corso tra biologia teoretica e antropologia filosofica. Afferma infatti «Non faremo come quei cercatori di tesori che credono che le cose di maggior pregio si trovino sempre e soltanto a oscure profondità». Ne “La forma degli animali” Portman si arresta al mondo della visione a occhio nudo per arrivare, tramite l’esperienza dei sensi, alla questione del senso…
“Per il singolo, premessa indispensabile alla felicità umana è dare un senso alle cose”. La forma degli animali viene descritta da Portmann come “Autorappresentazione di Sé e della propria interiorità”. Al di là dell’usuale e artificiale scissione corpo/spirito della scienza biologica e dell’antropologia attuale, la loro integrazione potrebbe facilitare una ulteriore Autorappresentazione dell’interiorità dell’uomo più ricca, più creativa in senso umanistico, letterario e artistico, e quindi facilitante nel trovare il senso delle cose e quindi della vita stessa.